Il sottoscritto
Sono
nato nel 1951, mio padre era appuntato dei Carabinieri.
Vivevo in un paesino dell’Alta Maremma dove in estate
veniva in villeggiatura dagli zii un ragazzo di Grosseto.
Si chiamava Aldo Rustichini ed oggi insegna economia a
Cambridge e nel Minnesota. Aldo era per me una fonte
di scoperte continua: aveva una radio a galena con le
cuffie, con la quale captavamo qualche gracchiante e
sconosciuta trasmissione stuzzicando un sassolino
dentro un tubetto di vetro; aveva un sacco di libri e
giornalini, possedeva una carabina e mi aveva
insegnato a giocare a scacchi con i quali passavamo
molte ore seduti su una vecchia macina di pietra. Un
anno Aldo portò con sé la scatola di montaggio di un
piccolo libratore che lui costruì mentre io stavo a
guardare. Vedere le ali centinate ricoperte in carta
mi fece una grande impressione: cosa non avrei dato
per poterne costruire uno uguale!
L’anno dopo la mia famiglia si trasferì in Emilia e per
molti anni non ho pensato al modellismo. Ho avuto
altri interessi: la musica, la pittura, gli amici...
e sopratutto quell’attività che appassiona quasi tutti i
giovani maschi in età da riproduzione. Nel ‘74, appena
sposato, dissi all’amico Claudio Brighenti, con il quale
condividevo la passione di trafficare in garage: ”Questo
Sabato vado a Parma, mi voglio comprare un
aeromodellino...” Il ricordo e la voglia sopiti per anni
riaffioravano alla mente ed ora, che da bravo maritino
dovevo passare più tempo in casa, mi sembrava l’hobby
ideale. “Vengo anch’io, così compro un giocattolo per mio
nipote che è stato promosso” disse Claudio. Io comprai un
“Dandy”, libratore della Graupner. Claudio comprò “per
suo nipote” uno Spitfire di plastica filocontrollato e
pronto al volo con un motorino Cox da 0,8 cc.
Distruggemmo lo Spitfire quel pomeriggio stesso, cercando
di farlo volare, davanti al nipotino sconsolato, che non
fece neppure in tempo a sfiorare il “suo” regalo. Quella
stessa Domenica iniziai la costruzione del “Dandy” sul
tavolo del soggiorno. Erano centinaia di pezzi da
assemblare con tanta pazienza. Claudio veniva ogni tanto
a curiosare, sul manuale esaurientissimo della Graupner
vide che oltre che per il volo libero, scopo per il quale
avevo comprato il modello, era possibile anche applicare
un motorino e addirittura un radiocomando. Conoscendo
Claudio Brighenti e sapendo quanto matto fosse, non mi
meravigliai più di tanto quando il Sabato appresso arrivò
a casa mia con pinna, motore e radio Futaba
superprofessionale completa (che a quel tempo, tra
l’altro, costava una follia). Io e Claudio fondammo così
una specie di “società aeromodellistica”: facevamo tutto
insieme. Dopo avere regolarmente distrutto il “Dandy”,
iniziammo a costruire ed a distruggere, sempre con
implacabile regolarità, un numero sempre maggiore di
aeromodelli. All’inizio erano scatole di montaggio, poi
iniziammo a costruire modelli autoprogettati, sempre
fonte di immancabili scassature. A Guastalla, dove
abitavamo, eravamo gli unici aeromodellisti e non c’erano
campi volo o club. Andavamo a far volare i modelli un po’
dappertutto, spesso andavamo nella fattoria del nostro
amico Luigi, dove dopo una seduta di volo, sua madre, che
teneva le galline, ci preparava qualche “uovo alla
Cox”... Costruimmo motoalianti, idrovolanti (il Po era a
due passi) e modelli di ogni tipo. Ricordo un bellissimo
SE5a della Svenson, distrutto per la smania di vederlo
volare senza avere mai pilotato un aereo con gli
alettoni, immaginiamo poi un biplano acrobatico... Fece
la stessa fine un idrovolante bimotore a scafo centrale
tipo Grumman Goose. Costruimmo anche alcuni maximodelli
che furono abbastanza apprezzati, quando per farceli
collaudare da chi sapeva pilotare ci recavamo a Parma,
Reggio Emilia o a Mantova nei campi volo. Rimane
comunque il fatto che restammo sempre abbastanza isolati
e quindi, senza nessuno che ci insegnasse, non imparammo
mai a pilotare decentemente. Tutti i modelli di quel
periodo andarono distrutti: principalmente per incapacità
di pilotaggio, ma soprattutto per la nostra presunzione
di voler fare tutto da soli. Devo comunque dire che
nonostante tutto fu un periodo in cui mi sono molto
divertito, nel quale la curiosità e la voglia di
sperimentare superarono le delusioni delle scassature.
Purtroppo di quel periodo non ho nessuna documentazione
fotografica, le poche foto che avevo scattato sono andate
perse tra traslochi e cambiamenti della vita. E fu così,
che per colpa di Aldo e Claudio, fui irrimediamilmente
contagiato dal virus incurabile dell’aeromodellismo... ma
forse sono tutte scuse.
Primissimi anni ’70, da sinistra: Luigi detto “La Vaca”,
simpatizzante della Società Aeromodellistica Brighenti
& Severin, a casa del quale gustavamo le famose uova
alla “Cox”, il sottoscritto 30 chili fa, “Ottoz”,
Giordano Longoni (“Dottor 3000”), e Claudio Brighenti.